«So che al Nord le cose vanno diversamente ma qui da noi, facendo soltanto il contoterzista è difficile tirare avanti». Partendo da questo assunto, a suo dire inconfutabile, Davide Bruscia ha creato un’azienda che spazia più o meno in tutti i campi dell’agricoltura e servizi a essa connessi. Ci sono le colture annuali e quelle perenni - vite e olivo in primis - e poi la trasformazione: pasta col grano aziendale, vino con le uve dei vigneti e naturalmente olio. Il frantoio, peraltro è offerto anche in conto terzi agli olivicoltori del territorio, ossia la provincia di Pesaro-Urbino, dove ha sede l’azienda (per la precisione, a San Costanzo, metà strada tra Senigallia e Fano).
Ma i Bruscia vanno ben oltre. Commercio di cereali, solitamente quelli trebbiati a casa dei clienti? C’è. Vendita di mezzi tecnici agli agricoltori della zona? C’è. Vendita di mangimi per animali da reddito e da compagnia? Fatto. Vendita legna, pellet e prodotti per il giardinaggio? Eccola. Per chiudere, aggiungiamo anche una filiale del consorzio agrario di Ancona, gestita da Bruscia con un paio di dipendenti. «Ritiriamo il grano degli agricoltori e, se capita, facciamo da segnalatori per la vendita di qualche trattore o macchina agricola». In altre parole, per una volta non sappiamo da che parte cominciare.
Nati con la bietola
E allora partiamo dal contoterzismo puro, che la famiglia esercita formalmente dal 2004, ma in pratica da molti più anni. «Abbiamo sempre fatto qualche lavoro per gli agricoltori del territorio, soprattutto dopo l’acquisto della scavabietole. Poi, una ventina di anni fa decidemmo di aprire la ditta di contoterzismo a tutti gli effetti. Soprattutto per la raccolta: delle bietole, ma anche dei cereali, poiché avevamo già la mietitrebbia».
Il lavoro, spiega l’agromeccanico marchigiano, si è sostenuto, in passato, soprattutto grazie alla bieticoltura, un tempo molto diffusa in zona. «Bene o male, metà dei terreni erano a grano, il resto a bietola, con pochi ritagli per altre colture, come il girasole o i legumi. Se ci penso… ai tempi il girasole era un ripiego per i campi su cui non si poteva fare bietola, oggi è la principale alternativa al grano. Ma soltanto perché la bietola è stata seppellita, non per altro».
Una coltura che resiste
Seppellita, ma senza che fosse veramente morta. «Ci è andata vicino, ma pian piano è tornata. Ai tempi avevamo 285 ettari di bietole nostre e altri 400 circa li gestivamo per i clienti. Oggi ne facciamo molti meno, ma qualcosa si fa ancora. Tanto è vero che pochi anni fa abbiamo ricomprato una scavabietole - una Holmer Terrados 4, ndr - da affiancare alla tre file Barigelli. Raccogliamo sui nostri terreni ma anche un po’ su quelli dei clienti. Sebbene la maggior parte degli agricoltori locali divida la superficie tra grano e girasole, infatti, qualcuno ha ricominciato a fare bieticoltura. Essenzialmente, per una questione di certezze, prima ancora che di ricavi».
Certezza del prezzo, per l’esattezza. «La cosa bella della bietola, anzi a mio parere bellissima, è che quando semini, sai già quanto te la pagheranno al momento della vendita, mentre grano e girasole li raccogli al buio, senza sapere se ti renderanno 30 euro o 22, come quest’anno. Avere sicurezza del prezzo è una gran cosa. L’altro aspetto positivo, senza dubbio, è la nuova genetica, che fa produrre anche in annate difficili, incluse quelle siccitose, e permette di usare un erbicida come il Conviso, che pulisce il campo con una sola passata. Ben altra cosa da quando dovevi fare due o tre trattamenti con i prodotti convenzionali e ancora avevi infestanti che spuntavano qua e là».
Un’altra novità degli ultimi anni è la semina autunnale, che i Bruscia praticano. «Avevamo fatto qualche tentativo già vent’anni fa, ma sicuramente con la nuova genetica i rischi sono molto minori. Inoltre gli inverni non sono più quelli di un tempo, per cui le piante soffrono relativamente. La semina autunnale è ottima per le zone non irrigue: se va tutto come deve, a giugno la radice è già formata e non soffre un’eventuale luglio senza piogge».
La bietola è insomma un’alternativa da tenere in grande considerazione, soprattutto per i terreni non irrigui. «In collina le opzioni sono molto inferiori alla pianura. Puoi fare grano, girasole, un po’ di legumi, sorgo… più o meno finisce lì. La soia l’abbiamo provata diverse volte, ma non c’è verso: in zona non produce, anche irrigandola».
Ben oltre l’aratura
L’azienda è composta, oltre che da Davide, da Paolo e Stefano, rispettivamente, fratello e cugino di Davide, più quattro dipendenti fissi. Assieme, coprono l’intero ciclo di lavorazioni, dall’aratura alla raccolta. Escono però ampiamente dai canoni tradizionali: hanno per esempio in appalto la pulizia dei fossi su ampie fette di territorio. «Abbiamo un escavatore per questa attività, che con il tempo è diventata fondamentale: se i corsi d’acqua non sono puliti, alla prima pioggia si formano ruscelli e frane, soprattutto sulle colline. Purtroppo gli agricoltori non fanno più manutenzione, in parte perché non è loro permesso: asportare rami e tronchi d’albero è infatti rischioso, c’è il pericolo di essere multati dalla Forestale. Per cui preferiscono non fare nulla. È un controsenso, ma così è».
Ricordiamo poi, in sintesi, la molitura delle olive e la vendita di mezzi tecnici, legna e diversi altri prodotti agli agricoltori, ma anche a comuni cittadini. C’è poi la vinificazione delle uve prodotte sui 42 ettari di terreni aziendali. «Tutti vigneti biologici, dunque ricaviamo vino bio e, per due etichette, anche senza solfiti. È un prodotto molto particolare, con profumi assai diversi dal solito. Va a coprire una nicchia. Piccola, ma c’è». Si aggiungono poi il miele e la marmellata di visciole, oltre alla pasta fatta con farina aziendale. «È un prodotto di alta fascia. Portiamo il grano a un mulino perugino e la semola in un pastificio di Fabriano. Il risultato è una pasta trafilata al bronzo in lenta estrusione ed essiccata naturalmente, per cui tiene la cottura in modo incredibile: ci vogliono fino a 20’ per i formati medio-grandi, dieci minuti per le tagliatelle. E risultano comunque al dente».
Parco macchine: domina il verde
Un’azienda marchigiana deve avere macchine adatte alla collina, nonché ai terreni tenaci che la compongono. I Bruscia per la raccolta lavorano con quattro Claas: due Tucano autolivellanti e due Lexion Montana, semi-livellanti capaci di superare pendenze trasversali del 18%. «Anche diversi trattori sono Claas, soprattutto quelli di media potenza. Crediamo che sia un marchio assolutamente attento alla qualità dei prodotti e che ha nell’assistenza il suo punto di forza. Quantomeno qui nella nostra zona, non so se per merito del concessionario Simoncini o della casa madre. Per esempio, un anno fa ci hanno sostituito tutti i riduttori per un richiamo. Un lavoro fatto senza spendere un euro, su una mietitrebbia già fuori garanzia. Avessimo dovuto farlo di tasca nostra, ci sarebbe costato 80mila euro. Claas sulle macchine da raccolta non fa compromessi. Durante la campagna ci sono sempre, domenica inclusa, e se non hanno un pezzo in casa, piuttosto lo smontano da una macchina che hanno in giacenza. Con un servizio del genere, andare a cercare altro è davvero difficile».
Il verde di Claas non è il solo colore che troviamo sotto i capannoni di Bruscia. Ci sono per esempio tre John Deere di alta potenza: un 8345 cingolato e poi un 8420 e un 8400 gommati, più due Case IH e alcuni New Holland. «Ci affidiamo a Cnh per le basse potenze, diciamo fino ai 120 cavalli. Sono buone macchine. Semplici, versatili e affidabili».
Territorio difficile
Un parco macchine di rilievo, insomma, per un’azienda che lavora i terreni dei clienti, ma fa molto anche sul suo. «In zona la domanda di lavori in conto terzi non è così alta. Molti proprietari, piuttosto che far fare tutto al contoterzista, preferiscono dare la terra in affitto: non si prende molto, ma sono soldi certi. Poi ci sono agricoltori che hanno un minimo di attrezzatura e pertanto fanno da soli la maggior parte dei lavori, ma ci chiamano per quelli più complessi e per la raccolta. Oppure, all’opposto, ci sono aziende pur grandi che preferiscono delegare la meccanizzazione. Una realtà da 1.700 ettari, qui in zona, fa fare la trebbiatura all’esterno per avere, se necessario, anche quattro o cinque macchine a sua disposizione e non essere vincolata alle manutenzioni delle proprie trebbie nel periodo invernale.
Sono però casi rari - conclude Bruscia - e la verità è che senza un po’ di terra propria, che sia in affitto o acquistata, un contoterzista da queste parti farebbe fatica ad arrivare alle mille ore l’anno necessarie per ammortizzare le macchine».