Le proteste degli agricoltori tedeschi, e non solo, contro le politiche di tagli alle agevolazioni fiscali adottate dai rispettivi governi, invitano a riflettere sulla situazione italiana, assai meno drammatica ma comunque bisognosa di attenzione. La politica fiscale in agricoltura mostra – in Italia – un duplice atteggiamento, con un trattamento di favore riservato a coloro che versano i contributi previdenziali agricoli (o usufruiscono dei relativi trattamenti pensionistici) e coloro che invece pagano i contributi in altre gestioni. Due pesi e due misure, che hanno finora spinto a non sollevare troppo clamore su un contrasto palese che potrebbe fare evolvere in senso negativo la revisione della fiscalità agricola – in corso di discussione – con la perdita di numerosi privilegi.
Diversa è, secondo gli esperti di diritto tributario, la concessione di esenzioni e agevolazioni ai “piccoli imprenditori” e a quelli con grandi capitali: possedere 5 o 500 ettari di terra ha infatti un significato ben diverso e viola il principio costituzionale della progressività fiscale. Fino all’anno scorso, esistevano due regimi distinti solo sul fatto di pagare o non pagare i contributi previdenziali nella gestione agricola: un contoterzista con attività agricola e qualifica di artigiano era tassato in misura ordinaria, con un costo fiscale sproporzionato.
Proteste in corso
Che le cose stiano cambiando, anticipando quella che sarà la riforma della fiscalità agricola, lo si vede dalla legge di bilancio, che non prevede più la detassazione del reddito, introdotta dall’art. 1, comma 44, della legge 232/2016 per gli iscritti alla previdenza agricola. Il beneficio avrebbe dovuto durare tre anni, inducendo qualche sospetto sulla volontà di influenzare il voto degli agricoltori in vista del referendum istituzionale del 2017, ma le successive proroghe avevano fatto capire che il provvedimento non aveva scopi elettorali. Insieme alla detassazione dei redditi fondiari scompare l’esclusione dai contributi per i giovani agricoltori, che andava ad aggiungersi alle altre provvidenze per favorire il ricambio generazionale in agricoltura: un settore in cui resta ancora molto da fare.
Da quest’anno, e quindi dalla dichiarazione dei redditi da presentare nel 2025, i redditi fondiari potrebbero tornare a essere imponibili per tutti i contribuenti, con la sola disapplicazione dell’ulteriore maggiorazione del 30% per chi paga i contributi agricoli. Potrebbero, perché sulla scorta delle proteste in corso sta nascendo un fronte per il ripristino di tale agevolazione: non un’iniziativa per non pagare le tasse, ma un beneficio che andrebbe incontro a un settore esposto in prima linea sul fronte dei cambiamenti climatici. La materia, inutile dirlo, è finita dritta filata sui tavoli delle commissioni parlamentari incaricate di esaminare, ed eventualmente modificare, il decreto sulla proroga di termini legislativi (cosiddetto Milleproroghe) che da anni ha il compito di mettere i cerotti sulle incongruenze della finanziaria.
La proposta di differimento di un altro anno, che vale tanto per la detassazione dei redditi agrari quanto per la sospensione dei contributi previdenziali dovuti dai giovani agricoltori, ha già avuto il parere favorevole da parte della competente commissione e ci sono concrete speranze che passi.
Maggiore attenzione alla lotta all’evasione
Ma la legge di bilancio non è solo questo, perché introduce diverse novità, a partire dalla maggiore attenzione alla lotta all’evasione; sono infatti previste specifiche misure per combattere il diffuso fenomeno delle imprese “apri e chiudi”, che scompaiono prima che si attivino i controlli. L’esperienza negativa del “super bonus” per le ristrutturazioni, che continua a produrre crediti d’imposta da verificare, ha spinto il legislatore a consentire l’utilizzo dei crediti derivanti da un dichiarativo fiscale solo dopo che siano trascorsi 10 giorni dall’invio della dichiarazione.
Per i crediti di natura previdenziale (datori di lavoro non agricoli) il tempo che deve passare dal termine per la trasmissione della denuncia mensile sale a 15 giorni; per il lavoro agricolo (in cui il calcolo lo fa direttamente l’Inps) il credito è utilizzabile immediatamente. Non si vuole negare il fatto che la verifica dell’effettiva esistenza e consistenza di un credito fiscale o previdenziale richieda un certo tempo, ma con la diffusione della moneta elettronica un prelievo da uno sportello automatico viene rilevato e analizzato nel giro di pochi secondi. Non si comprende quindi il motivo per cui la pubblica amministrazione debba avere a disposizione un lasso di tempo migliaia di volte superiore, tanto più che le sue dotazioni informatiche vengono pagate dai contribuenti. La promessa riforma tributaria sembra ancora lontana: dalle disposizioni della legge di bilancio, contenute nei 561 commi dell’art. 1, si continua a percepire la prosecuzione dell’impostazione storica di un fisco tanto pignolo sui dettagli, quanto lento nei controlli.
Rivalutazione terreni e quote
Pur non essendo una vera novità, ma una conferma, la legge di bilancio ripropone la rivalutazione dei terreni edificabili e agricoli posseduti a titolo di proprietà, usufrutto, enfiteusi e diritto di superficie alla data del 1° gennaio. È bene ricordare che tutte le vendite di terreni, così come degli altri beni immobili, sono soggette ad accertamento di valore da parte dell’Agenzia delle entrate per evitare possibili evasioni; l’Agenzia può rinunciare alla verifica se nel rogito si dichiara un certo valore fissato per legge. Valore che, per i terreni fabbricabili, è sempre molto più elevato di quello di acquisto e dà luogo a una plusvalenza tassabile in capo al venditore: per quest’anno è possibile fare redigere una perizia, asseverata da un tecnico abilitato, entro il prossimo 30 giugno. Entro tale data dovrà essere pagata l’imposta, nella misura del 16% del valore, che sostituisce tutte le imposte che si sarebbero dovute pagare sulla plusvalenza; in caso di vendita del terreno, farà fede il valore rivalutato, azzerando o riducendo al minimo l’eventuale tassazione.
Chi dispone di terreni divenuti edificabili ha tutto l’interesse ad aderire all’iniziativa: benché tali terreni non siano imponibili ai fini Imu, fino che sono coltivati da un coltivatore diretto, le imposte da pagare sull’eventuale plusvalenza sono superiori all’imposta sostitutiva. La medesima possibilità vale per la rivalutazione delle quote societarie possedute dalle persone fisiche; al riguardo è bene precisare che in una società di persone (società semplice, in accomandita semplice e in nome collettivo) le quote sono sempre di proprietà dei singoli soci. Nelle società di capitali (srl e Spa) è possibile che i soci siano persone fisiche. In caso di vendita delle quote di proprietà, in capo al privato che vende si può venire a creare una plusvalenza, come differenza fra il valore di vendita e il valore di acquisto.
Molte piccole società vengono costituite con un capitale sociale minimo e, nel tempo, acquistano un valore sempre maggiore in relazione ai beni strumentali posseduti, agli utili non distribuiti, ai crediti: per questo la plusvalenza che si crea è spesso rilevante e con essa la tassazione. In via ordinaria le plusvalenze da cessione di quote di partecipazione in società non si sommano al reddito del contribuente (persona fisica) ma devono essere indicate separatamente in dichiarazione dei redditi e pagano l’imposta fissa del 26%.
Con la rivalutazione è possibile versare anticipatamente l’imposta nella misura del 16%, calcolata in base ad una perizia, asseverata entro il 30 giugno; entro tale data deve essere fatto il pagamento; è possibile pagare in tre rate annuali applicando alle rate successive l’interesse del 3% annuo. È interessante osservare che la forbice fra l’imposta sostitutiva e la tassazione ordinaria si è molto ristretta, a partire dalle prime rivalutazioni (1990): allora la differenza era notevole (fino al 40%!) mentre oggi si è ridotta ad appena il 10%. La convenienza della rivalutazione è pertanto legata al costo della perizia e all’entità della possibile plusvalenza: a trarne il maggior vantaggio saranno i contribuenti più “ricchi”.
Giro di vite sui crediti d’imposta
La profusione dei crediti d’imposta riconosciuti da vari provvedimenti agevolativi – dal 4.0 ai vari bonus edilizi – ha evidentemente messo in difficoltà il sistema della riscossione dei tributi, al punto di indurre il governo a “stringere” sull’utilizzo del credito. La norma originaria, emanata in una fase storica orientata verso l’apertura di una tregua fra fisco e contribuenti, prima della crisi finanziaria del 2008, aveva ampliato le possibilità di compensazione dei crediti con i debiti tributari.
A quasi vent’anni di distanza il clima è completamente cambiato e le ingenuità legislative hanno dato numerose occasioni all’insonne fantasia degli evasori abituali. All’art. 37 del decreto legislativo 223/2006 è stato aggiunto un nuovo comma che restringe di nuovo i cordoni della borsa, con decorrenza dal prossimo 1° luglio, vietando la possibilità di compensare i crediti tributari e/o contributivi per i soggetti con forte esposizione con il fisco. Chi ha a carico iscrizioni a ruolo (le cosiddette cartelle) per imposte erariali e accessori, oppure accertamenti esecutivi affidati all’Agente della riscossione per importi superiori a 100.000 euro non potrà più effettuare compensazioni nel modello F24. Questo vale, ovviamente, per le cartelle a debito i cui termini di pagamento siano già scaduti e per quelle per cui non siano stati attivati provvedimenti di sospensione, per esempio a seguito della presentazione di un ricorso; il divieto di compensazione viene meno qualora avvenga la completa rimozione delle violazioni contestate.
Assicurazione obbligatoria contro le calamità
L’obbligo di assicurazione contro i rischi derivanti dalle catastrofi naturali, di cui si era parlato a fine 2023, è stato definitivamente approvato e inserito nell’art. 1 della legge di bilancio, ai commi da 101 a 111. La norma rappresenta una storica novità per il nostro ordinamento giuridico e nasce dall’ormai consolidata constatazione che le catastrofi naturali non rappresentano più un fatto straordinario e imponderabile, ma un’eventualità che – per quanto imprevedibile – è possibile e reale. Chi, a seguito di recenti eventi sismici o alluvionali, aveva cercato conforto nel settore assicurativo, ha potuto capire che il sistema è in parte impreparato; a parte le riserve sul fatto che siano sempre le imprese a dover andare allo sbaraglio, l’obbligo finirà per dare la sveglia a tutto il settore. Continuando sul piano delle critiche, la norma sembra voler sollevare lo Stato da ogni dovere nei confronti del sistema imprenditoriale: gli aiuti pubblici sono riservati ai cittadini, mentre chi ha interessi economici deve provvedere da sé.
Secondo il Codice civile, l’imprenditore ha il dovere di provvedere, con la diligenza del buon padre di famiglia, alla tutela del patrimonio aziendale contro i rischi ragionevolmente prevedibili. Letto in questo senso, il nuovo obbligo perde un po’ delle sue connotazioni negative e il fatto che la sua violazione faccia perdere il diritto ad usufruire di sovvenzioni o agevolazioni, anche a seguito di calamità naturali, contribuisce ad attenuare i dubbi di legittimità costituzionale. Del resto in ambito commerciale l’esistenza di vincoli sulla proprietà di un bene da parte di terzi (come avviene ad esempio nel contratto di leasing) comporta l’obbligo di assicurazione contro il rischio di perdita dello stesso per furto, incendio o altra causa.
Il contratto di assicurazione deve perciò comprendere tutti i beni aziendali, iscritti a bilancio o sul registro dei beni ammortizzabili: terreni, fabbricati, impianti, macchinari fissi e mobili, attrezzature commerciali e industriali, per i danni derivanti da calamità naturali ed eventi catastrofali. Di particolare interesse è il fatto che la società di assicurazione può dare la copertura per intero o tramite coassicurazione con altra compagnia, oppure in consorzio con altre imprese.
Le sorprese sotto l’albero
Fra i regali e regalini di fine d’anno, la legge di bilancio si è spesa in una serie di provvidenze che, pur interessando categorie ristrette, hanno trovato ascolto da parte del legislatore. Oltre alle agevolazioni di carattere sociale – come la proroga per i mutui “prima casa” erogati a favore delle giovani coppie conduttrici di case popolari, la riduzione del canone Rai, l’esclusione dei titoli di stato dal calcolo dell’indice Isee – altre possono interessare tutte le imprese.
Una di queste riguarda il cosiddetto “benessere (welfare) aziendale”, quell’insieme di erogazioni concesse dal datore di lavoro che non rientrano nel concetto di retribuzione, e non sono pertanto soggette né a tassazione, né a contributi previdenziali. Un istituto che tende a diffondersi sempre di più presso le imprese agromeccaniche professionali, nelle quali svolge un importante ruolo nella fidelizzazione del dipendente, come buoni carburante, buoni spesa, pagamento di bollette o affitti, cessione di beni o servizi ecc. Nulla di nuovo sotto il sole, come si dice: il Testo Unico delle imposte sui redditi aveva messo un tetto di 500.000 lire già nel lontano 1986, per cui il limite di 1.000 euro, confermato per quest’anno, altro non fa che aggiornare una norma di portata ormai storica.
Sullo stesso filone, nel 2024 è confermata la riduzione (dal 10 al 5%) dell’imposta sostitutiva dovuta ai premi di produttività o di risultato eventualmente corrisposti ai lavoratori, nonché alle erogazioni a titolo di partecipazione agli utili dell’impresa.
Di sicuro interesse è infine il rifinanziamento per l’anno in corso del fondo dedicato agli acquisti di beni strumentali nuovi a sensi della “Sabatini-ter”, che dopo l’iniezione di (pochi) fondi a fine 2023 può ora beneficiare di uno stanziamento di ben 100 milioni. Come si ricorderà, questa formula finanziaria può essere paragonata a un serbatoio che non deve mai svuotarsi del tutto per evitare che i fondi prenotati da banche ed intermediari finanziari possano esaurirsi obbligando le imprese a ripresentare le domande, come avvenuto qualche anno fa.