Credito d’imposta 5.0 fra realtà e illusione

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Per ottenerlo occorre che l’investimento porti a un forte risparmio energetico. Rischia sia chi investe sia chi deve rilasciare le certificazioni

La dotazione miliardaria del nuovo credito d’imposta, che concede dal 35 al 45% della somma investita in macchinari fortemente innovativi, ha suscitato grandi aspettative più da parte della catena di fornitura di macchine agricole – costruttori e rivenditori – che nei potenziali beneficiari.

Il motivo sta essenzialmente nel fatto che chi rischia di più sembra essere proprio chi investe: ma la procedura richiede certificazioni che coinvolgono personalmente, sul piano patrimoniale, coloro che le dovranno rilasciare.

Ma andiamo con ordine: “cosa” è realmente il “5.0”? In estrema sintesi equivale a un credito d’imposta 4.0 “maggiorato”: oltre al rispetto dei 5 requisiti di base e dei due aggiuntivi, l’investimento deve portare a un forte risparmio energetico, alla cui entità (in percentuale) è commisurato il credito maturato. L’onere della prova è sempre in carico al richiedente, per quello che riguarda i contenuti tecnici, dall’interconnessione all’impiego dei dati, mentre la prestazione energetica è documentata da un ente certificato o da un professionista abilitato.

Le caratteristiche di innovazione nel processo produttivo (già previsto dal 4.0) sono finalizzate al risparmio energetico: in questo quadro l’entità del credito può raddoppiare, passando dall’attuale 20% al 35%, 40% o 45%, in relazione all’intensità di riduzione dei consumi. I due regimi di aiuto - 4.0 e 5.0 - sono destinati a convivere fino al 31/12/2025: ci si può limitare al solo 4.0 se prevale l’obiettivo dell’applicazione delle tecniche di agricoltura di precisione, mentre se esistono concrete possibilità di raggiungere la soglia limite, si può tentare con il 5.0.

Poco adatto a un’impresa di servizi

La misura tradisce un’impostazione di fondo di stampo industriale, con linee di produzione situate in stabilimenti fissi, alimentati da impianti di adduzione di energia dedicati: per schemi produttivi diversi, come i servizi svolti in modo itinerante, l’applicazione non è così semplice. Su una linea di produzione manufatturiera il risparmio energetico è facilmente determinabile: basta rilevare i consumi al contatore elettrico o al serbatoio del combustibile e dividerla per il numero dei pezzi, confrontando così il vecchio impianto con il nuovo che darà luogo al credito. La valutazione tecnica delle prestazioni, e quindi del vantaggio in termini energetici, si limita in tal caso a una serie di calcoli, fondati su elementi certi e tracciabili.

In un’impresa di servizi, che svolge la sua attività spostandosi sul territorio, con prevalente impiego di macchine mobili, la valutazione dei consumi è più complessa: anche se i consumi devono essere normalizzati e rapportati al volume della produzione, si richiede un giudizio di stima. Stima che deve essere precisa, al punto che fra le prime preoccupazioni del legislatore c’è quella della capacità dell’ente certificatore (o del professionista) di rifondere il danno patrimoniale sofferto dall’impresa in caso di errori, da coprire con idonea polizza assicurativa. Ed è un bene, perché il risparmio energetico comporta ulteriori elementi di incertezza: il nuovo investimento deve infatti portare a un certo risparmio energetico aziendale, oppure ad un risparmio più sensibile sul singolo processo produttivo. Per esempio, per il primo livello di credito (35%) il risparmio minimo ottenuto nella struttura o nello stabilimento deve essere del 3%, mentre se si guarda al singolo processo produttivo, la riduzione dei consumi deve superare il 5%.

Le prestazioni richieste al nuovo investimento possono sembrare a portata di mano, ma non è così: in un’azienda con 10 macchine – che per semplificare immaginiamo abbiano lo stesso consumo unitario – per risparmiare il 3% bisogna che la macchina nuova consumi oltre il 30% in meno, un traguardo piuttosto difficile da raggiungere. Se il calcolo viene condotto sul singolo processo, come ha previsto il legislatore, nell’ipotesi di 5 mezzi impegnati nel singolo processo produttivo, il nuovo investimento deve fare risparmiare almeno il 25% di energia affinché il risparmio complessivo arrivi al 5%. Le possibilità di scelta sono tuttavia limitate, perché se la macchina oggetto dell’investimento entra in vari processi produttivi, non è più possibile calcolare il risparmio energetico rispetto al processo (quale?) e bisogna quindi fare riferimento all’intera azienda.

Le aziende nelle condizioni più favorevoli

Si troveranno nelle condizioni più favorevoli solo poche tipologie di aziende:

  • con parco macchine decisamente obsoleto;
  • con pochi mezzi, ma nettamente caratterizzati, come le macchine agricole operatrici - semoventi, concepite per svolgere un solo tipo di lavoro;
  • che sostituiscono una macchina specifica con una a trazione elettrica;
  • che sostituiscono più mezzi di grande potenza, capaci di incidere significativamente sui consumi aziendali.

In sede di presentazione della domanda il risparmio energetico è il frutto di una stima, che potrebbe dare risultati inferiori alla realtà: è però chiaro che questa dovrà essere condotta su basi reali e non sul consumo minimo in condizioni ideali. Ma come accade per le auto, i valori delle prove su strada possono essere assai diversi da quelli che ciascuno di noi può riscontrare nell’uso quotidiano. Se però un eventuale controllo dovesse evidenziare differenze non compatibili con la precisione strumentale (computer di bordo), la responsabilità coinvolge anche chi ha fatto la perizia.

Sotto l’aspetto fiscale, il credito d’imposta 5.0 è sicuramente favorevole, ma i requisiti richiesti sono molto severi e caratterizzati da risultati non sempre proporzionali alla spesa. Qualche concessionario ha speso parole fin troppo ottimistiche, dimenticando che non è il merito intrinseco della macchina nuova a determinare l’ammissione al credito maggiorato, a differenza del semplice 4.0, in cui è sufficiente il rispetto di precisi parametri e impegni. Come abbiamo potuto vedere dagli esempi, se una mietitrebbia consentisse un risparmio energetico del 10% (un valore molto elevato) si potrebbe rientrare fra i beneficiari del credito d’imposta solo con un parco macchine non troppo ampio, a meno di non acquistare più macchine. Anche la proposta più allettante, riguardante un mezzo con ottime prestazioni, deve quindi essere attentamente valutata: se in sede di certificazione non si arriva al minimo risparmio, si sono spesi soldi che non potranno essere recuperati.

Credito d’imposta 5.0 fra realtà e illusione - Ultima modifica: 2024-06-25T08:57:59+02:00 da Roberta Ponci

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