Lo sviluppo delle aree rurali rientra tra le principali e prioritarie azioni dell'agenda comunitaria a favore della sostenibilità prevedendo, tra le innovazioni, obiettivi in termini di benessere "oltre il Pil". In particolare, l’agricoltura per progredire necessita di continue innovazioni delle imprese e delle istituzioni, tese a introdurre nuovi prodotti e nuovi servizi, nonché nuovi metodi per produrli, distribuirli e usarli, in un dinamico processo circolare di diffusione presso gli utilizzatori.
In questa prospettiva, molte valutazioni d'impatto delle politiche in materia di cambiamenti climatici e di energia, prevedono proposte in materia finanziaria, sociale e ambientale, mediante un’impostazione integrata anche sotto il profilo economico, attraverso la semplificazione della normativa e la riduzione dell'onere amministrativo. Questo approccio olistico, se diffusamente adottato, consentirebbe di identificare lo sviluppo delle aree rurali come modello di "Green economy" e non come settore, per la peculiare aderenza alla definizione proposta dall'Unep: “un'economia che produce miglioramenti del benessere umano e dell'equità sociale riducendo al contempo i rischi ambientali ed ecologici”.
Pertanto, nel dare risalto all’incidenza potenziale dello sviluppo sostenibile, particolarmente per le aree rurali interne, dove le migliori pratiche di gestione della produzione agricola, in relazione a impostazioni innovative di processo, possono determinare contestualmente risultati multidimensionali, appare fondamentale integrare i portatori d'interesse nella complementarietà dei ruoli e delle funzioni. In questo scenario, per qualificare le operazioni colturali applicando sistemi efficienti e competitivi su ampia scala, il contoterzismo rappresenta una straordinaria opportunità per le aziende agricole, ma anche per la salvaguardia e la valorizzazione dei territori rurali con insostituibili servizi ecosistemici e funzioni sociali, estetiche e paesaggistiche.
Crisi economico-finanziaria in Italia dal 2008 ad oggi
La crisi nata nell’estate del 2007 nel mercato dei mutui immobiliari americani, dopo essersi rapidamente estesa ad ogni comparto della finanza a livello mondiale, ha colpito nel corso del 2008 l’economia reale, influenzando le scelte di produzione e consumo di tutti i sistemi economici coinvolti.
Le performance dell’Italia sono state influenzate da alcune peculiarità del sistema economico nazionale:
a) una minore competitività del sistema produttivo, caratterizzato dalla piccola dimensione delle imprese e dalla loro scarsa internazionalizzazione, dal prevalere di un’economia della rendita, dalla notevole estensione dell’economia sommersa;
b) servizi poco efficienti e insufficiente dotazione di infrastrutture materiali e immateriali;
c) notevoli squilibri di bilancio, caratterizzati da un debito pubblico esorbitante e deficit di bilancio strutturali, come conseguenza di una spesa corrente fuori controllo e da diffusa evasione ed elusione fiscale;
d) livelli di disoccupazione e sottoccupazione superiori a quelli degli altri Paesi dell’area euro.
Questa situazione che, già in condizioni normali, determinerebbe performance meno brillanti di quelle dei partner europei, ha portato ad una maggiore vulnerabilità nel momento in cui il sistema è stato colpito dalla crisi finanziaria ed economica. In particolare, nella fase di recessione dovuta alla crisi del 2008, queste condizioni hanno determinato effetti sull’economia reale più negativi che altrove: tassi di crescita economica meno sostenuti (o maggiormente negativi), una minore prontezza ad approfittare della ripresa economica e impatti in termini occupazionali più pesanti di quanto non sia avvenuto nei Paesi leader dell’area euro.
La riduzione generale del Pil ha risentito soprattutto del calo eccezionale osservato nel settore industriale, da cui è derivato un decremento della produzione manifatturiera su livelli prossimi a quelli di quindici anni prima. L’impatto della recessione ha colpito anche il settore agricolo, seppure venga considerato come un settore tradizionalmente anticiclico, con effetti riassumibili in principali e secondari. Gli effetti principali sono: diminuzione dei prezzi e del fatturato; peggioramento della ragione di scambio tra prodotti agricoli e prodotti manifatturieri; diminuzione dei redditi. Quelli secondari sono: aumento della forbice tra prezzi al consumo e prezzi alla produzione; leggera diminuzione della domanda di prodotti agricoli; aumento dei problemi di pagamento da parte di tutti i clienti; accesso al credito più difficoltoso.
È utile specificare che non tutte le imprese sono state colpite allo stesso modo dalla crisi: sul fenomeno, infatti, influiscono la filiera di appartenenza, le dimensioni aziendali, la forma di conduzione, il grado di diversificazione delle attività, la differenziazione dei prodotti e anche il grado di integrazione nella filiera.
Spopolamento delle aree rurali e interne
Secondo l’Ocse sono rurali tutte quelle regioni con una densità di popolazione inferiore ai 150 abitanti per chilometro quadrato e senza un centro urbano che abbia più di 50 mila abitanti. Allo scopo di cogliere adeguatamente le differenze intra-provinciali, generalmente rilevanti nell’ambito del territorio italiano, la metodologia Ocse è stata rivista, nell’ambito della programmazione dello sviluppo rurale 2007-2013 e 2014-2020, portando all’individuazione di 4 aree omogenee:
– i Poli urbani, che comprendono i capoluoghi di provincia con più di 150 ab./km2 e tutte le Aree fortemente urbanizzate;
– le Aree rurali ad agricoltura intensiva specializzata, che includono le Aree rurali urbanizzate di pianura, le Aree rurali urbanizzate di collina, le Aree prevalentemente rurali di pianura e le Aree significativamente rurali di pianura;
– le Aree rurali intermedie, che comprendono le Aree prevalentemente rurali di collina (Nord e Centro), le Aree significativamente rurali di collina e le Aree significativamente rurali di montagna (Nord e Centro);
– le Aree rurali con problemi complessivi di sviluppo, che comprendono le Aree prevalentemente rurali di montagna, le Aree prevalentemente rurali di collina (Mezzogiorno) e le Aree significativamente rurali di montagna (Mezzogiorno).
In generale, nelle aree rurali, la concentrazione di abitanti con più di 65 anni è molto alta, e aumenta nel tempo, fermo restando che l’invecchiamento è un trend nazionale. Inoltre, nelle aree prevalentemente rurali delle Regioni “convergenza”, il fenomeno dell’invecchiamento si è accompagnato allo spopolamento. In questa parte del Paese - tra il 1992 e il 2012 - le aree prevalentemente rurali hanno perso l’8% della popolazione. Invecchiamento e spopolamento minacciano la sostenibilità economico-sociale, tra cui l’attuale sistema dei servizi alla popolazione (sanità, scuola, servizi sociali), poiché il numero degli utenti diminuisce progressivamente.
Se tale tendenza dovesse continuare, la chiusura dei servizi alla popolazione sarà un rischio concreto, con conseguente minaccia della sostenibilità delle comunità rurali. Inoltre, soprattutto nelle zone rurali più periferiche, i cittadini devono affrontare lunghi spostamenti; questo potrebbe avere un impatto sull’abbandono socio-economico, che in Italia è particolarmente alto.
Un servizio pubblico particolarmente esposto alle conseguenze dell’invecchiamento della popolazione è quello sanitario. La concentrazione di anziani ha aumentato la richiesta di servizi sanitari e cure mediche. L’introduzione dei distretti sanitari per razionalizzare l’offerta di servizi non si è evoluta in maniera omogenea nel Paese: in alcune aree, le strutture sanitarie non sono organizzate secondo una logica “territoriale” e in molte regioni meridionali c’è una densità elevata di ospedali che non sono equipaggiati per fornire assistenza di qualità. Il risultato è che la popolazione locale tende a migrare verso i centri urbani del nord del paese per accedere a servizi sanitari di qualità.
Le correnti migratorie si dirigono dalle zone economicamente deboli verso regioni capaci di offrire una convenien te occupazione e un più alto livello di vita: le montagne sono state le prime ad essere colpite da questa recessione: lo spopolamento montano è un fenomeno quasi generale. Storicamente, la discesa dalle montagne è stata tanto più precoce quanto più progredita era l'evoluzione economica della pianura sottostante; accanto allo spopolamento della montagna si è venuto delineando l'esodo dalla campagna. Nei paesi industriali la meccanizzazione agricola è stata stimolata dalla diminuzione di manodopera. Il rapido sviluppo delle industrie urbane non soltanto ha assorbito tutta la manodopera disponibile sul posto, ma ha avuto bisogno di altre braccia e le ha richiamate da orizzonti sempre più vasti e lontani: l'agricoltura ha dovuto meccanizzarsi per sopperire ai vuoti di manodopera causati dal passaggio dei lavoratori agricoli alle attività manifatturiere.
La perdita di popolazione rappresenta un grave rischio sotto tre principali punti di vista:
- socio-culturale: il calo demografico in alcuni contesti territoriali periferici, caratterizzati da profonde radici storiche e culturali, provoca la perdita di identità consolidate e di memoria, la disgregazione delle comunità e della propria socialità, la scomparsa di valori ed il senso di smarrimento;
- economico: lo spopolamento rappresenta la perdita dell’opportunità di proseguire attività agricole ed artigianali svolte nelle aree definite marginali e in declino, nonché l’impossibilità di attuare processi di modernizzazione delle produzioni peculiari delle aree interne, con la conseguente scomparsa di una notevole parte dell’economia locale;
- fisico e geologico: l’abbandono del presidio del territorio implica la perdita di interesse sia da parte della popolazione stessa rispetto alla corretta manutenzione del territorio, sia da parte delle pubbliche istituzioni, con conseguente accentuazione dei fenomeni di dissesto idrogeologico; inoltre, lo spopolamento delle aree interne provoca il riversarsi della popolazione principalmente nei centri urbani, con una conseguente forzata crescita dei centri urbani ed una pressione antropica e ambientale, con effetti di crescente disorganizzazione di governo del territorio.
* Università degli Studi di Teramo
** Università degli Studi di Perugia
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