Il disegno di legge n. 1026, ormai approvato dal Senato, introduce alcune modifiche sostanziali al Codice della strada, sostituendo la definizione di “macchina agricola” contenuta nel primo comma, primo periodo, dell’art. 57 del codice della strada, che recita testualmente: “Le macchine agricole sono macchine a ruote o a cingoli destinate ad essere impiegate nelle attività agricole e forestali e possono, in quanto veicoli, circolare su strada per il proprio trasferimento e per il trasporto per conto delle aziende agricole e forestali di prodotti agricoli e sostanze di uso agrario, nonché di addetti alle lavorazioni; possono, altresì, portare attrezzature destinate alla esecuzione di dette attività. La definizione riprende in larga misura quella data dal legislatore comunitario, che fa riferimento alle attività agricole e forestali in senso molto generale – e ormai consolidato da una giurisprudenza trentennale – di portata nazionale e internazionale.
Il nuovo testo, per l’italico puntiglio di voler precisare casi particolari – come ad esempio l’attività agrituristica – rischia invece di escludere qualche attività, fra quelle che il legislatore comunitario aveva introdotto nel più ampio concetto di “agricolo e forestale”. Le attività da “agricole in genere” vengono limitate alle sole previste dall’art. 2135 del codice civile: un ambito apparentemente più ampio, che potrebbe suscitare confusioni sul piano interpretativo. Inoltre, la formulazione proposta è completamente diversa da quella comunitaria, che ha un valore giuridico superiore e che non potrà non continuare a essere applicata, in forza dei trattati costitutivi dell’Unione europea, indipendentemente da cosa dice la legislazione di un paese membro.
Un’interpretazione tutta italiana
La sostituzione dell’aggettivo “agricole” con “le attività di cui all’art. 2135 del codice civile” vuole estendere l’interpretazione, tutta italiana, di un’agricoltura sempre più multifunzionale: dalle energie rinnovabili al turismo rurale, dalla trasformazione alimentare alla commercializzazione. Fra le cose che possono essere trasportate dalle macchine agricole, oltre ai prodotti agricoli e alle sostanze di uso agrario, si vorrebbero ricomprendere altri “prodotti” non agricoli, ma destinati all’agricoltura multifunzionale, comprese le attrezzature. In realtà, la prima versione del Codice della strada, approvata nell’aprile del 1992, consentiva il trasporto di “cose di interesse agrario”, un concetto molto ampio, tanto da spaventare gli autotrasportatori che fecero prontamente modificare la disposizione. Con il decreto legislativo n. 360/1993 le “cose” sparirono, sostituite dall’espressione “prodotti agricoli e sostanze di uso agrario” ripresa dal Codice del 1959, che escludeva però le macchine e le attrezzature agricole, tanto da richiedere un’apposita precisazione ministeriale.
La proposta di legge ricomprende le attrezzature agricole, così come quelle non propriamente agricole, ma destinate ad attività riconducibili all’agricoltura: in effetti per il trasporto in quota di un pannello solare, in mancanza di strade carreggiabili, bisogna ricorrere ai costosi mezzi aerei. Ha invece destato qualche perplessità – ma evidentemente interessa a qualcuno – la possibilità di trasportare sulle macchine agricole, oltre agli addetti alle lavorazioni già ammessi fin dal 1959, anche gli ospiti del turismo rurale e forestale. È possibile che chi ha spinto fortemente sulla politica per inserire questa norma, che contrasta con quelle (comunitarie) in materia di omologazione dei veicoli agricoli e forestali, pensasse ai veicoli leggeri multifunzione, largamente pubblicizzati ma finora di scarso impiego? A parte l’immagine “rustica” di questi piccoli veicoli fuori strada, simili ai cart usati nei campi da golf, il comfort di marcia non è neppure paragonabile a quello di un autoveicolo, mentre il prezzo di acquisto è sostanzialmente simile.
Resta poi in piedi un altro dubbio: se agli addetti alle lavorazioni si aggiungono i turisti, le regole per il trasporto di persone sulle macchine agricole sono quelle stabilite dal regolamento, e riguardano esclusivamente i rimorchi, dotati di “specifiche attrezzature”: quindi, niente cart. L’impiego dei rimorchi per il trasporto degli addetti è ormai scomparso, perché comporta gravi responsabilità a carico del datore di lavoro: mancano perfino le norme sulla protezione degli occupanti contro il rischio del ribaltamento, ben presente nei contesti agroforestali. In mancanza di norme unificate il veicolo dovrà essere allestito secondo il nuovo “Regolamento macchine”: se la protezione degli ospiti comporta una responsabilità civile assicurabile, la sola presenza del conducente si porta dietro tutti gli obblighi in materia di sicurezza sul lavoro.
Rimane poi qualche dubbio, in tempi di transizione ecologica (anche se un po’ diluita) sull’utilità di accompagnare i visitatori con un veicolo a motore (anche se ad emissioni zero) in un contesto naturale che si apprezzerebbe meglio nel silenzio. Infine, di quali estensioni parliamo? Nel contesto italiano le aziende con estensione di migliaia di ettari, tali da richiedere l’uso di mezzi di trasporto, sono davvero poche e perdere tempo a scrivere leggi utili solo a esigue minoranze non migliora l’immagine dello Stato.