Un parere delle Commissioni Ambiente e Attività produttive. Brilla l’assenza del Mipaaf

Biogas, il tetto alle colture dedicate non tiene conto delle realtà locali

Il rischio è che venga a mancare la materia prima per gli impianti. E le più penalizzate sono le piccole aziende

Scrivo come agronomo e agricoltore, per esprimere il mio sconcerto nel venire a conoscenza di un documento del 3 febbraio scorso prodotto dalle “Commissioni riunite VIII e X della Camera dei Deputati”, rispettivamente del ministero dell’Ambiente e del ministero delle Attività produttive, nel quale viene espresso un “Parere favorevole con le seguenti condizioni” (cioè “obblighi”), e al cui interno spicca la seguente condizione numero 12:
“(...) con decreto del Mipaaf (...) sono stabiliti parametri volti a definire le percentuali massime di coltivazioni dedicate impiegabili negli impianti a biogas, al fine di evitare squilibri negli approvvigionamenti e nei prezzi delle produzioni agricole da destinare all’alimentazione umana e zootecnica: tale percentuale non può essere superiore al 15 per cento del totale delle coltivazioni dell’azienda agricola”.
Si tratta di un parere espreso dalle suddette commissioni in merito allo schema di decreto legislativo, che recepisce la direttiva 2009/28/Ce sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, attualmente all’esame del Parlamento.
Innanzitutto brilla l’assenza del ministero delle Politiche agricole e forestali tra i Ministeri coinvolti nelle Commissioni riunite: assurdo che il Ministero competente per eccellenza in materia agricola e di bioenergia sia fuori gioco.
Ma viene disatteso anche il principio di delega alle Regioni per l’adattamento degli impianti alle eterogenee realtà territoriali del nostro Paese.
È ovviamente irrealistico e totalmente sganciato dalla realtà locale stabilire una sola, singola ed ipotetica quota di coltivazioni dedicate al biogas, qualunque essa sia, per tutta Italia: mentre la stragrande maggioranza del nostro territorio presenta il diradamento progressivo della zootecnia tradizionale, con la conseguente scomparsa del mercato “classico” per le produzioni foraggere (leggasi “biomasse”), all’opposto in alcune province italiane, in particolare padane (ma anche campane) l’elevato carico zootecnico di allevamento intensivo deve convivere in modo ragionevole con gli impianti di biodigestione anaerobica, secondo criteri di adattamento “locali”.
 

 

GLI OBIETTIVI DEL PAN
Sottolineo che gli obiettivi fissati dal Piano di azione nazionale (Pan) sulle energie rinnovabili per il biogas prevedono 1.250 MW entro il 2020: considerando una media di potenza di 0,5MWe per ogni impianto di biogas, ciò significa l’installazione di circa 2.500 impianti, cioè 8 volte tanto gli impianti operanti a fine 2010: una grossa opportunità per la nostra agricoltura. Ma con quali biomateriali si dovrebbero alimentare? E dire che il biogas rappresenta una delle migliori chances anche per l’agricoltura “multifunzionale” che ci aspetta con la nuova Politica agricola comunitaria dal 2014.
All’opposto, nulla viene inserito in termini ambientali per gli areali ad elevata intensità zootecnica: perché non proporre parametri per la denitrificazione del digestato finale della biodigestione anaerobica, ad esempio favorendo dal punto di vista tariffario la riduzione del 50 per cento dell’azoto prima dello spandimento agronomico in area vulnerabile?
Se si applicasse la limitazione del 15%, inoltre, si agirebbe contro qualsiasi impianto di biogas anche già operante, aprendo la strada a una serie infinita di contenziosi.
Così come si può anche osservare che le prime aziende agricole danneggiate dalla proposta sarebbero quelle di piccolamedia dimensione: che senso avrebbe ridurre indiscriminatamente al 15% la possibilità di “produzione vegetale contrattuale per il biogas” di un’azienda con 20-30 ettari di seminativo?
Significherebbe escluderla dal mercato.

Biogas, il tetto alle colture dedicate non tiene conto delle realtà locali - Ultima modifica: 2011-02-23T11:17:35+01:00 da Il Contoterzista

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